Il manicomio di Mombello, ovvero l’ex ospedale psichiatrico Giuseppe Antonini, si trova a Limbiate in provincia di Monza e Brianza. È un luogo inquietante, un enorme, infinito, spettro nel mezzo di un parco. Ora meta preferita da fotografi, vandali e tossici, è in stato di degrado e abbandono, è una struttura precaria, un insieme di vecchie stanze che raccontano storie, storie di malattie, persone e ossessioni.
Nel 700 era una bellissima villa ricca di affreschi appartenente alla famiglia Arconati e poi dei Crivelli, circondata da metri quadrati di giardini e padiglioni. Questa sontuosa villa nel 1700 ospitò addirittura Ferdinando IV di borbone e divenne quartier generale di Napoleone Bonaparte durante la campagna d’Italia, che la preferì alla reggia di Monza. Qui l’imperatore Napoleone fece convolare a nozze le sue due sorelle Paolina ed Elisa. Agli inizi del 1800 fu abbandonata e poi comprata dal comune di Milano che nel 1863 la ristrutturò trasformandola in ospedale psichiatrico.
La nascita del manicomio
All’epoca infatti c’era l’urgenza di un nuovo ospedale “per matti” perché il manicomio cittadino, La senavra, era in sovraffollamento. Si incorreva tra le altre cose allo scoppio di un’epidemia di colera. Quindi nell’agosto del 1865, 60 malati vennero trasferiti dalla Senavra alla villa Pusterla-Crivelli di Mombello. In seguito alla ristrutturazione si contavano almeno 300 ricoverati tra donne e uomini.
Cesare Castiglioni, direttore della Senavra, organizzò Mombello come colonia agricola per i malati tranquilli che non necessitavano di cure insistenti. La struttura divenne un vero e proprio villaggio dotato di laboratori, giardini e spazi coltivabili. I ricoverati potevano lavorare e rendersi utili nei laboratori artigiani e di sartoria, negli orti. Erano considerate attività lavorative “terapeutiche”. Gli “agitati” invece venivano tenuti in isolamento.
Nel parco si può notare un vecchio cancello rimasto ancora in piedi. Oggi il terreno adiacente è denominato “il campo della Palma” e un tempo ospitava il peggior reparto del complesso: quello degli agitati. All’interno del complesso, miriadi di stanze e corridoi che terminano nel buio, ancora oggi evocano tristi vibrazioni e l’eco di grida disperate degli ospiti di quelle stanze. Qui trovarono la morte molti di quei “pazzi”, tra i tanti trovò la sua fine il figlio illegittimo di Benito Mussolini (avuto da una relazione extra coniugale con Ida Dalser, che fu Internato proprio nel reparto agitati, considerati i più pericolosi. Ben presto nel corso del tempo il manicomio di Mombello iniziò a soccombere sotto un numero di malati sempre più elevato.
Durante la I guerra mondiale ospito 3500 pazienti. Vennero costruiti altri quattro padiglioni per ospitare e curare i soldati che venivano dal fronte. Molti di loro non ressero l’orrore della guerra, vennero considerati pazzi e internati nel manicomio. Durante la seconda guerra mondiale ospitò i degenti del manicomio di Venezia chiuso per motivi bellici e successivamente ospitò gli sfollati di varie alluvioni e disastri naturali. Dopo la seconda guerra mondiale il manicomio di Mombello iniziò a perdere lustro, perché il Gaetano Pini iniziava a farsi strada come struttura più all’avanguardia. Nel 1978 la legge Basaglia pose fine a tutto decretando la chiusura dei manicomi, tra cui ovviamente anche quello di Mombello, il quale fu riconvertito per un breve periodo in un ospedale psichiatrico per poi essere definitivamente chiuso nel 1999.
Mombello oggi
Nel corso degli anni a venire questo ospedale divenne un ammasso di macerie, luogo spettrale, uno straordinario edificio con i suoi padiglioni immersi in una natura diventata prevalente, selvaggia e rigogliosa. Una meta per tutti gli appassionati del brivido, una meta urbex delle più importanti. Apparentemente il vecchio manicomio non offre altro alla vista se non rottami, spazzatura e vecchi mobili gettati alla rinfusa. Ma per occhi meno superficiali e attenti si rivela un luogo affascinante, un luogo dove storia e mistero si intrecciano. Si possono ritrovare vecchi schedari, macchinari distrutti, vetri rotti. Costituisce un’attrazione magnetica, con i suoi enormi corridoi e i padiglioni fatiscenti, le stanze con finestroni affacciati sui boschi intorno, le grandi scalinate a strapiombo sul vuoto e i cunicoli sotterranei (dove è meglio non avventurarsi da soli).
Le gallerie sotterranee
S tratta di chilometri di gallerie di sottoservizi, alte 180 centimetri, all’interno delle quali scorrono le tubature, fissate tramite mensole alle pareti, un tempo necessarie per portare acqua e riscaldamento nelle varie aree. All’interno nascosta dentro questi lunghi tunnel sotterranei c’è una galleria diversa dalle altre che si dice fosse un passaggio segreto voluto da Napoleone per consentirgli una fuga in caso di pericolo. Le leggende narrano inoltre che, prima dell’entrata in vigore della legge Basaglia, alcuni dottori effettuassero esperimenti clinici non autorizzati sui malati di mente. I resti di queste vittime innocenti sarebbero state poi gettate nel pozzo, di circa 30 metri di profondità, posto proprio all’interno delle cavità destinate al trasporto e allo smaltimento delle acque. Passaggi segreti, luoghi di occultamento di omicidi di pazienti, gallerie che portano direttamente alla chiesetta di San Francesco, luogo in cui si sposarono le sorelle di Napoleone.
Come raggiungere il manicomio
Impostare il navigatore per via Monte Grappa – Limbiate (MB)
L’intera zona, compreso il parco con alberi secolari, è interamente accessibile. La via di entrata non ha nessun controllo e non ci sono recinzioni, anche l’accesso agli edifici è comodo e senza pericoli. Le stanze sono sempre piuttosto buie, e probabilmente meta di notte di senzatetto e tossici, quindi è consigliabile non andarci soli e di giorno, muniti di cellulare carico. E’ un luogo dove c’è di tutto, impossibile da visitare in poco tempo, i corridoi sono molto lunghi e degradati, molte parti del tetto sono crollate e si possono trovare perdite d’acqua .
Si può percepire ansia e angoscia,. Non si tratta di fantasmi o presenze, cose appartenenti a un’altra vita, ma di provare a pensare cosa ci potesse essere allora, di percepire che sensazioni si potessero provare lì dentro, pensare a isolamento, costrizioni e camicie di forza, agli agitati chiusi dentro, a Benito Albino e ad altri “pazzi” che li dentro sono morti. Si tratta di osservare ogni muro o carta o letto e trovare un segno di persone e cose che non ci sono più ma che hanno lasciato un segno, che sta a noi trovare e cogliere, e conservare.